Considerazioni Sparse su Pretty Little Liars

Capita abbastanza spesso che io e mia moglie si vada a vedere vecchie serie televisive, magari addirittura per la prima volta. Lo streaming di massa permesso da piattaforme come Netflix e Amazon Prime Video ha permesso questo, creando le condizioni ideali per maratone pazzesche a base di vampiri urbani e intrighi adolescenziali.

Non fa eccezione quella che abbiamo da poco intrapreso con Pretty Little Liars.

In sostanza siamo al cospetto dell’ennesima evoluzione di Twin Peaks (ovviamente con sceneggiatori molto più capaci e raffinati), che ripropongono il tema della scomparsa giovinetta custode dei segreti di una cittadina americana di provincia basandosi su una serie di romanzetti adolescenziali di semisconosciuta autrice, in una salsa che fonde il tema dello stalking a quello dell’investigazione.

Il tormentone della serie, che risale ormai nelle sue prime stagioni (quelle che effettivamente stiamo vedendo oggi) a quasi quindici anni fa, è stato utilizzato anche per dei revival molto recenti, ma in un contesto più satirico e “di genere”, che peraltro mi è abbastanza piaciuto, e ha appunto suggerito la retrospettiva di cui parlo.

Da un punto di vista narrativo siamo al cospetto dell’ennesimo psicodramma adolescenziale torbido a base di schemi usa e getta: c’è un mistero e ci sono delle rivelazioni che alla fine della giostra, invece di risolverlo, finiscono per complicarlo sempre di più, garantendo la continuità della serie e dei conseguenti introiti della produzione.

La cosa interessante è che questa sostanziale presa per i fondelli a grandi linee funziona; ovvero, si mantiene su livelli tollerabili per lo spettatore, che in fondo viene condotto attraverso mondi oscuri sufficientemente intriganti per tollerare l’idea di una storia che necessariamente non verrà mai veramente conclusa.

Insomma, ci piace.

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