Sono passati un paio di giorni e il ricordo comincia ad affievolirsi. Immagino che non sarà un racconto dettagliato ma più un resoconto manipolato e in parte immaginato. Arrivai in perfetto orario. Trovai la porta aperta. Lei si fece vedere in corridoio e mi disse che potevo entrare nel suo studio quando volevo. Mi sedetti davanti a lei e cominciai a raccontarle del motivo per cui avevo richiesto un incontro. Lei rimase in silenzio. Le parlai del mio occhio destro, di come il cervello non riesca bene a comporre le 2 diverse immagini “scattate”, di come quella dell’occhio dominante non riesca a compensare quella dell’occhio con la maculopatia. Del disagio che ho provato negli ultimi 2 mesi e che provo tuttora. Di come tutto questo sia collegato alla mia recente attività “paranoica”, al disagio sperimentato all’interno della relazione e a come nell’ultima settimana ne sia venuto più o meno a capo. Stando nella frustrazione, aprendomi con la mia compagna, con la meditazione. Le ho parlato di K. Delle sue paure riguardo al futuro, alla vecchiaia, a come cambierà il suo corpo. Ho parlato di cosa io e k. non siamo e di come possiamo comprenderci. Ci specchiamo l’un l’altra. Per quanto siamo così diversi, in questa fase della nostra vita possiamo aiutarci e collaborare insieme. Mi ha chiesto se posso accettare di non avere e vivere con lei l’intimità che desidererei. Le ho risposto di si, che non voglio più rifuggiarmi nel mondo dorato e immaginario della perfezione. Mi ha chiesto cosa mi impedisce di cercarla fisicamente. Non so cosa le ho risposto. Penso il rischio di provare del piacere. Le ho detto del veto che ha posto alle sedute con lei, alla volontà di non farsi seguire da una terapèuta che segue anche me. È rimasta in silenzio. Alla fine dell’incontro ho chiesto e ottenuto di abbracciarla.