Il modello opensource e la realtà

Vorrei oggi ritornare sull’argomento di cui scrivevo poco più di due mesi fa nel post La lettera agli hobbisti, il Free software e l’utente. Con gli anni i miei entusiasmi verso l’opensource si sono nettamente smorzati anche se non fatico ad ammettere che per molto tempo non sono stato in grado di spiegare a me ed al mondo le ragioni di questo arretramento. All’origine mi pare di poter porre due elementi tipici del dibattitto del mondo opensource:

  • Gratis prima che libero. Vale a dire il porre sempre l’accento sull’assenza di costi più che sulla libertà di utilizzo del codice; con la conseguenza indiretta che della giusta retribuzione per chi scrive codice in fondo non importa nulla a nessuno. Se un programmatore del mondo opensource prova ad alzare un po’ la voce per rivendicare un adeguato compenso, la risposta è sistematicamente il fork ovvero il caricare lo sviluppo su qualche altro sfortunato disposto ad accontentarsi delle briciole e magari illuso dall’idea di avere alle spalle una grande comunità pronta a sostenerlo. Il caso delle librerie colors.js e faker.js [1] è emblematico di questa piramide rovesciata in cui colossi da miliardi di dollari di fatturato non si fanno problemi a basare il proprio business su piccoli progetti opensource che non solo non ricevono praticamente nulla ma rischiano anche di finire in tribunale se per caso provano a ribellarsi.
  • Vuoto retorico. Parlare con un sostenitore dell’opensource è spesso l’equivalente di provare a sfondare un muro a testate. Inizierà a vaneggiare di diritti fondamentali, di licenze auliche, di modello dalle nobili origini, di spirito di libertà; proseguirà poi con citazioni varie di guru ed affini e concluderà infine con una invettiva contro qualche società commerciale rea non si sa bene neppure di cosa. Ed alla fine non avrà detto nulla ne tanto meno avrà trovato soluzione al problema iniziale. Il dogma come risposta a tutto e zero capacità di analisi critica.

Mettere assieme questi elementi è un po’ come comporre un puzzle, solo alla fine riesci a vedere il quadro d’insieme. Ed in questo caso l’inquietante risultato è una ideologia applicata al software. E come tutte le ideologie anche quella opensource può solo degenerare: da un lato porta a demonizzare qualsiasi esperienza alternativa e dall’altro diventa il martello retorico con cui si costruiscono immense ricchezze private ammantate di buoni princìpi.

Se come me bazzicate nel variegato mondo di F-Droid, quasi sicuramente vi sarete imbattuti in passato in una o più applicazioni della famiglia Simple Mobile Tools. Riassumo per tutti gli altri: si tratta di una raccolta di applicazioni del programmatore slovacco Tibor Kaputa che permette di rimpiazzare la maggior parte delle app di base di un sistema Android (un lancher, un dialer, un calendario, una fotocamera, un gestore di SMS e via di questo passo). Per anni SMT ha permesso a milioni di utenti di liberarsi dalle imposizioni di Google o del produttore del proprio smartphone ed adoperare un set di strumenti di alto livello tra loro graficamente e tecnicamente coerenti. Il tutto sotto licenza opensource, gratuito per l’utente e con una opzione per raccogliere donazioni.

Un progetto di grande complessità sia da sviluppare che da mantenere che avrebbe sicuramente meritato un più congruo riconoscimento. Invece un anno fa emerge la notizia che l’autore ha ceduto la suite ad una società terza interessata a proporre le medesime applicazioni con un proprio modello di business. Su GitHub [2] ma anche su Reddit [3] è partita la solita litania degli adepti dell’opensource: chi si sente tradito (?), chi arrabbiato, chi deluso; c’è chi si è autoconvinto che un progetto opensource non possa essere venduto e non possa cambiare licenza e spera che la cosa finisca in tribunale [4]; c’è chi è convinto che il progetto abbia ricevuto chissà quali contributi in codice da parte della community e che quindi non possa essere ceduto senza il consenso di tutti [5]; c’è chi si lamenta per la scelta dell’acquirente e per il fatto che ora il nuovo proprietario voglia essere pagato; c’è che si aspettava di venire consultato in anticipo (a che titolo? boh…). E poi immancabilmente ci sono i fanatici del fork che auspicano, spingono, sollecitano affinché altri si facciano il mazzo a riprendere e ripubblicare il codice sotto altro nome e ovviamente… gratis. Pochi, davvero pochi, quelli che invece accettano la decisione dell’autore ed ancora meno quelli che lo ringraziano per anni di lavoro offerti gratuitamente a tutti.

I fork puntuali arrivano, i paladini del mondo libero se ne fanno garanti e promotori ed il ciclo riprende. Nessuno ovviamente azzarda una qualche forma di autocritica. Proviamoci qui. Se un progetto con milioni di download non porta di che vivere ad un programmatore, il problema è la sua scelta di vendere o l’assoluto menefreghismo degli utenti? Se le donazioni fossero state ragionevoli non ci sarebbe stato motivo di cedere il progetto; viceversa se portare avanti lo sviluppo diventa solo un onere è irragionevole pensare che qualcuno debba sentirsi obbligato a proseguire solo per permettere a te di de-googlizzare il tuo smartcoso e riempirti la bocca di opensource in salsa free.

Quando parlo di ideologia opensource è a questo genere di situazioni che guardo. E la sensazione di disagio che me ne deriva è forse ciò che più ha raffreddato la mia passione per questo spicchio del mondo del software.

20.12.2024 UPDATE · Mi pare opportuno un piccolo chiarimento: in questo articolo ho utilizzato la parola opensource in senso estensivo includendo al suo interno anche elementi più strettamente legati al modello del software libero. È vero a rigore che si tratta di concetti diversi e distinti tanto che fiumi di inchiostro sono stati versati negli anni per sviscerarne ogni più sottile distinzione. Ma è vero anche che si tratta di due insiemi con una altissima quota di sovrapposizione nei quali gli elementi comuni sono largamente prevalenti. In questo contesto mi sembrava ridondante dover ripetere ogni volta la doppia formulazione. Ma nel caso, se ne può sempre discutere in un’altra occasione.

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1. Si veda Dev corrupts NPM libs ‘colors’ and ‘faker’ breaking thousands of apps · 2. GitHub · 3. Reddit · [4] Le più comuni licenze opensource inclusa la GPL permettono il riutilizzo del codice ma non azzerano il copyright che resta in mano ai singoli programmatori. Questi ultimi sono liberi di riutilizzare lo stesso codice sotto altre licenze, di concederne l’uso a terzi, di venderlo se desiderano · [5] È poi emerso che la quasi totalità del codice è da attribuire all’autore del progetto, a riprova di come il concetto di community sia più che altro retorica ben orchestrata.